Una curiosità che accomuna alcune delle più antiche dimore di Trapani è la presenza di un modello di scala particolare, denominata nei Manuali d’Architettura e nei testi di Storia dell’Arte, come “Scala alla Trapanese”.
* Tale manufatto si caratterizza per essere una struttura sospesa in pietra autoportante, i cui gradini sono costituiti da elementi monoblocco. L’operazione di montaggio dei singoli conci veniva effettuata partendo dal gradino più basso (“gradino d’invito”) e, una volta inseriti nel muro per una profondità variabile in base alla dimensione della scala (in genere 1/4 od 1/6 rispetto alla sua larghezza) e posti a livello mediante cunei in legno, venivano murati con un sottile strato di malta.
Il bordo superiore dello scalino, nelle lavorazioni di pregio, era costituito da un “toro” (“burduni”) e da una striscia sottostante (“muschitta”). La superficie veniva resa scabra con l’uso della “bocciarda”.
Ciascun gradino era sagomato in modo tale che accogliesse il toro di quello sottostante in una cavità tale da realizzare un incastro. Proprio il raccordo (“curidda”) tra la testa del bordo dello scalino e l’alzata del successivo costituisce l’elemento di novità e assoluto interesse della “Scala alla Trapanese” (o “Incarugghiata”), per la totale assenza di malte leganti (una tecnica che nel gergo dialettale da cantiere prende il nome di “Sfunnu u capizzu”). Con questi due soli tipi di vincolo, rispettivamente nel muro d’ambito e nel gradino sottostante, i singoli scalini potevano reggersi autonomamente, consentendo sbalzi notevoli ed apparendo come “sospesa”.
La sua bellezza, inoltre, era incrementata dall’impiego di un marmo particolare, la “Pietra Misca”, detta anche “Rosone” o “Pietra Palazzo” dal nome dell’unica cava esistente (esauritasi dopo la Prima Guerra Mondiale) ubicata nel quartiere “Palazzo”, nella zona occidentale ed estrema della città (via Carolina, la punta della falce), al di là della primigenia cinta muraria. Il grande scalone e gli scalini d’accesso della Reggia di Caserta sono costituiti da quel materiale, lavorato dagli scalpellini Trapanesi dell’epoca, tra cui Giuseppe e Giovan Battista Artale (la famiglia Artale poteva vantare una lunga discendenza di scalpellini e marmorari, fin dal ‘700).
Ma non solo la Reggia di Caserta : il marmo Trapanese venne usato anche dallo scultore e architetto Gian Lorenzo Bernini per la chiesa di San Pietro in Vaticano, per alcune cappelle ornamentali e per la Casa Professa dei Gesuiti di Palermo.
La “Scala alla Trapanese” fu portata alla sua massima espressione artistica e progettuale dall’Ingegnere, Urbanista e Architetto Trapanese Francesco La Grassa (allievo di Ernesto Basile), durante il periodo dell’Architettura Liberty. La sua attività, soprattutto tra Roma e la Sicilia, fu rivolta alla progettazione di strutture residenziali legate alla committenza privata, palazzi e ville di città, ma anche di grandi edifici pubblici, tra cui emerge il monumentale palazzo delle Poste e Telegrafi di Trapani.
La scala di Palazzo Guajana consente di rappresentare gli elementi caratteristici e funzionali della “Scala alla Trapanese”, e di sottolineare quelle peculiarità che le conferiscono un alto valore dal punto di vista stereotomico. In primo luogo si colloca al centro dell’edificio, accompagnandone lo sviluppo per l’intera altezza. La parte che conduce al “Piano Nobile” ha un più raro andamento elicoidale, “a ventaglio”, che ne rendeva complessa l’esecuzione. I gradini hanno una larghezza di 95 cm. nel gradino d’invito, che divengono 154 in quello più largo nel tratto curvilineo, per un’alzata costante di 18 cm. e una pedata di 29. I ballatoi intermedi sono costituiti da 2 lastre di pietra, mentre il tavoliere (cioè il pianerottolo d’arrivo della rampa) è formato da 5 ampi elementi, connessi reciprocamente attraverso una tecnica a incastro detta “zappatura” o “zuppatura”.
In totale si hanno 70 gradini + 9 pianerottoli intermedi + 3 tavolieri d’arrivo.
Altro elemento degno di nota è la ringhiera ottocentesca che accompagna i gradini, in ferro battuto involuto e ritorto, che s’innesta sulla scala attraverso dei fori, predisposti nei gradini, molto distanziati tra loro e sigillati in modo invisibile con malta cementizia (dal momento che la malta di gesso corrode il ferro).
Circa il resto dell’Androne, un tempo lastricato con basole di pietra, esso presenta un soffitto a volta crociata in tufo “a vista” di Favignana, la cui estrazione è, oggi, vietata. Attraverso un corridoio chiuso da cancelli (in passato così ampio da consentire il passaggio di calessi, carrozze e cavalli dell’annessa scuderia) si ha accesso al giardino, attualmente in rifacimento ed un tempo assai vasto, prima che, negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, la costruzione di alcuni palazzi ne occupassero la superficie.
* Notizie tratte da : “Le Scale alla Trapanese nell’opera dell’Ingegnere e Architetto Francesco La Grassa” (di Federica Scibilia), dal volume “Le scale in pietra a vista nel Mediterraneo”, di G. Antista e M.M. Bares, collana “Tracciati”, edizioni Caracol S.n.c. – Palermo